“Il lavoro a tempo indeterminato sembra essere uscito dai radar delle imprese italiane che si indirizzano sempre di più verso i contratti a termine, in ragione delle maggiori o minori commesse ricevute. Altro che stabilità, purtroppo, in crescita è la precarizzazione dei rapporti di lavoro e un’ assenza di crescita professionale alimentata da un sistema produttivo fragile”.
Così Fiovo Bitti, segretario confederale dell’Ugl, in merito alle recenti rilevazioni dell’Inps.
“Il contratto a tempo indeterminato, questo sconosciuto ormai, anche nella versione fortemente edulcorata del contratto a tutele crescenti, riduce sensibilmente la portata dell’articolo 18 sui licenziamenti illegittimi”.
Per il sindacalista “il contesto è doppiamente preoccupante. Infatti, se leggiamo il fenomeno dalla parte del lavoratore, diventa sempre più complicato realizzare un progetto di vita familiare e lavorativa. Guardando alle aziende, però, il quadro che emerge è quello di un sistema produttivo che non forma e non qualifica, ma che utilizza il singolo addetto per il tempo strettamente necessario, senza alcuna crescita professionale”.
“Il contrario di quanto servirebbe, considerando che la partita di Industria 4.0 si gioca soprattutto sulla capacità di rafforzare le competenze professionali delle persone. Uno scenario rispetto al quale il governo non può restare a guardare per gli evidenti costi umani e sociali che si celano dietro la precarizzazione dei rapporti di lavoro”.

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