“L’unica certezza prodotta dal Jobs Act è il deterioramento strutturale del mercato del lavoro, il cui prezzo è interamente pagato dai lavoratori e in particolare dai giovani, costretti ad accettare condizioni normative ed economiche estremamente peggiori rispetto a quelle dei loro genitori alla loro stessa età”.
È questo il commento del segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone, in merito alle dichiarazioni di oggi del segretario del Pd sul ‘posto fisso’ rispetto al quale ha chiesto “una mentalità pronta ad aprirsi e a mettersi in gioco” o altrimenti non si va “da nessuna parte”.
“Con i contratti a tutele crescenti, impropriamente e strumentalmente definiti ‘a tempo indeterminato’ – aggiunge – il lavoro è diventato più precario, al punto da rendere impossibili progetti di vita a medio termine. Invece di creare nuova occupazione stabile, il Jobs Act ha generato un processo di sostituzione dell’occupazione, da una forma di contratto ad un’altra, dando vita ad un apparente aumento di posti di lavoro, ma tutti fortemente instabili e spinti non dalle norme del Jobs Act, ma dalla crescita economica e dagli sgravi, i quali, oltre a non essere parte integrante della stessa riforma, hanno notoriamente vita breve”.
“Renzi e gli estensori del Jobs Act – conclude Capone – hanno dimostrato di ignorare o di aver dimenticato le regole fondamentali dell’economia insegnate ai primi anni dell’Università e cioè che, in un mercato del lavoro con un elevato tasso di disoccupazione, allentare i vincoli ai  licenziamenti equivale a creare nuova disoccupazione. L’allentamento delle protezioni è possibile solo a condizione che l’offerta di lavoro sia tale da avvicinarsi teoricamente alla piena occupazione, e comunque con un tasso di disoccupazione molto basso. In ogni caso prima occorre che il mercato del lavoro sia dinamico, poi eventualmente allentare i vincoli. Il Jobs Act pretendeva di fare il contrario, ecco i risultati”.

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