«L’UGL si è sempre dichiarata contraria all’introduzione di un salario minimo legale sia per la centralità assegnata alla contrattazione rispetto all’intervento del legislatore, quindi per rivendicare l’autonomia negoziale delle parti, sia perché un salario minimo legale non è la soluzione al fenomeno del lavoro povero. Ciò che serve è semmai un rafforzamento della contrattazione collettiva».
Lo ha dichiarato Luca Malcotti, Segretario Organizzativo dell’UGL, oggi in audizione in commissione Lavoro e Affari sociali del Senato in merito al ddl di delega del Governo in materia di salario minimo adottato come testo base dalla 10° Commissione di Palazzo Madama.
«I numeri sui lavoratori non coperti da contrattazione sono inesistenti. Il Cnel ha fissato in circa il 3% il numero di lavoratori non coperti da contrattazione. Noi riteniamo che anche il 3% sia frutto di un disallineamento delle banche dati, perché, almeno per i lavoratori dipendenti, al momento di un’assunzione vi è l’obbligo per il datore di lavoro di indicare un contratto collettivo di lavoro. Non esiste il fenomeno delle assunzioni senza un contratto collettivo di riferimento».
Inoltre, «visto che l’obiettivo di introdurre un salario legale è quello di contrastare il lavoro povero, andrebbe fatta chiarezza: il dumping contrattuale esiste in Italia e va combattuto, ma ha un peso rispetto al lavoro povero assolutamente contenuto. Lo dimostrano i dati: abbiamo 1.017 contratti collettivi depositati. La maggior parte di essi sono censiti e vengono applicati a oltre 14 milioni di lavoratori». «La verità è che il fenomeno dei contratti indiziati di dumping riguarda più o meno 350 mila lavoratori e sappiamo tutti che il grosso del dumping sta in 6 contratti collettivi applicati a 230 mila lavoratori. Se avessimo un tema di lavoro povero che riguarda 300 mila lavoratori saremmo qui a festeggiare. Il lavoro povero risiede nel lavoro nero, nel lavoro grigio, nei part-time involontari, nelle partite Iva o nei rapporti subordinati travestiti da collaborazioni: tutti temi che non verrebbero intaccati da una norma sul salario minimo».
Infine, ma non ultimo «vi è la preoccupazione che con un salario minimo si produca un effetto opposto a quello voluto, perché un’azienda che non ha un contratto collettivo di riferimento può utilizzare il salario minimo, con il ragionevole rischio che delle aziende possano decidere di uscire dalla contrattazione collettiva. A quei lavoratori resterebbero soltanto il salario minimo e gli istituti tutelati dalla legge (tredicesima, festività, malattia), ma non tutta una serie di altri istituti previsti dai contratti collettivi che comportano diritti», ha concluso Malcotti.
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